a cura di Lapo Pieri   IK5NAX

Introduzione

In oltre dieci anni di attività radioamatoriale ho incontrato diversi radioamatori, molti dei quali si sono addirittura fatti un vanto di non costruire nulla perché ormai ci sono le industrie, e altre scempiaggini del genere. Però fra i molti radioamatori che non costruiscono c'è un folto gruppo che si cela dietro un vago `` io farei ma c'è questo problema, quell'altro, può essere pericoloso, ...'', di queste storie se ne potrebbero raccontare tante, basti citare quella di uno di mia conoscenza che si ha tentato qualcosa, ma che poi è passato...``dal packet all'internet''. Ebbene diverso tempo fa ebbe a dirmi che, si, qualche circuito l'avrebbe potuto realizzare ma poi non avrebbe saputo in quale contenitore racchiuderlo perché ``per l'elettronica i contenitori vanno fatti di alluminio e l'alluminio mica si può lavorare in casa: le lime si impastano e uno non può certo avere una fresa...'', evito di commentare!

Bene, una delle cose che spaventano di più è proprio la realizzazione dei circuiti stampati e la frase ricorrente è: ``non fa per me, ci vogliono gli acidi''. Vi assicuro che di esalazioni ce ne sono veramente poche, meno che verniciare una ringhiera a smalto. Così  spero con queste note di privare tanti radioamatori svogliati delle scuse necessarie per mantenersi in quello stato di apatia che pervade questi tempi e che non risparmia la nostra categoria; cercherò di spiegare come sia possibile ottenere in casa risultati di buona qualità senza doversi cimentare in imprese tecnicamente eroiche: vediamo che scuse troveranno ora!

Teoria della lavorazione

Per chi non si sia mai posto il problema di come si realizzi un circuito stampato tramite fotoincisione illustrerò in questo paragrafo il procedimento a grandi linee, nei seguenti verranno affrontati i particolari.

La tecnica della fotoincisione consiste nel riprodurre sul materiale da incidere (il rame delle basette da circuito stampato nel nostro caso) un disegno precedentemente ottenuto su un supporto (un foglio ad esempio) in modo che il supporto non venga distrutto nella realizzazione dell'oggetto finale e che il disegno possa essere fatto su materiali usuali per le tecniche di disegno e stampa piuttosto che su una lastra di vetronite da 1.6mm.

Per questo si irraggia la piastra da circuito stampato sensibilizzata dalla vernice fotosensibile, facendo passare la luce, generalmente ultravioletta, attraverso il disegno che si vuole riprodurre. Dopo l'esposizione la vernice fotosensibile (detta comunemente fotoresist o photoresist) ha mutato la propria struttura chimica, senza che però se ne possano notare dei cambiamenti a colpo d'occhio. [ ad essere precisi per certi fotoresist è possibile vedere una ``immagine latente'' subito dopo l'esposizione, cioè un tenue cambiamento di colore del fotoresist in corrispondenza delle zone chiare o di quelle scure. ]

Lo scopo della fotoincisione è quello di lasciare la vernice dove il rame non debba essere corroso e eliminarla altrove, per far questo occorre ``sviluppare'' il fotoresist, operazione che si esegue immergendo la basetta in una apposita soluzione chimica; tale processo ha lo scopo di indurire la vernice che deve restare (processo di polimerizzazione) e eliminare quella in corrispondenza delle zone dove il rame debba essere asportato.

A questo punto si ha a disposizione una basetta ramata con sopra uno strato di vernice nelle zone dove deve rimanere il rame esattamente come se si fosse disegnato il circuito stampato direttamente con trasferibili e nastrini o pennarello. Resta pertanto da corrodere il rame con le normali soluzioni.

Il cablaggio

Questo non è un discorso da affrontare in questa sede, comunque ognuno avrá provato quella decina di programmi liberi, shareware, copiati, ecc... e si sarà fatto un'idea di quello che possa andar bene per se. Il mio consiglio spassionato va per lo GNU-PCB che gira sotto Linux, e questa è anche una esortazione a lasciar perdere quei sistemi operativi fatti tutti di disegnini e finestrine e passare a qualcosa di più serio.

Comunque abbiate cablato il vostro circuito alla fine ne dovreste poter ottenere una stampa in scala 1:1 su carta comune con una normale stampante. Vediamo allora come si ottiene quello che viene comunemente chiamato il ``master'', ovvero la pellicola che permetterà la fotolitografia.

Un foglio di carta comune, bianca, da 80 g/m2 stampato con una stampante laser può già essere un ottimo master, sapendo con cosa si ha a che fare. Altrimenti si può usare della carta lucida da disegno o dei fogli di acetato, i classici lucidi da proiezione.

La scelta del tipo di supporto e di stampante dipenderà molto da ciò che si dispone, pertanto darò solo delle indicazioni su come abbiano ad essere scelti questi componenti. Ho sempre usato delle stampanti laser e mi piacerebbe sapere che risultati si potrebbero ottenere con quelle a getto d'inchiostro, ma non ne ho mai trovata disponibile una in buone condizioni per fare delle prove serie. Infatti spesso le stampanti che molti hanno sono quelle vendute un tanto al chilo ai supermercati che hanno gli ugelli così e così e varie altre storture. Non è detto, però, che non si possano ottenere dei risultati migliori rispetto a una laser.

Rimanendo alle stampanti laser vediamo come scegliere il supporto: l'obbiettivo è quello di ottenere un master quanto più contrastato possibile, il che non significa che debba essere molto trasparente nelle zone dove non dovrà rimanere il rame. Infatti se il master non è molto trasparente basterà aumentare il tempo di esposizione, ma se il ``nero'' non è sufficientemente scuro e lascia passare un po' di luce non si otterrà un buon circuito stampato. Piuttosto sarebbe meglio cercare di ottenere il ``nero'' il più scuro possibile, ma non essendo questa una condizione facile da ottenere è bene impegnarsi ad ottenere un buon contrasto.

Il problema si sposta allora al supporto su cui stampare: bisogna trovare quello su cui il toner, o inchiostro che sia, si attacchi meglio e formi uno strato più spesso. Se si trovano supporti lucidi meglio, altrimenti la carta comune è quella che da migliori risultati da questo punto di vista, almeno per la mia esperienza.

Inutile ricordare che le stampe vanno valutate in trasparenza, guardandole frapposte a una sorgente abbastanza intensa di luce, e non per riflessione come accade nella lettura usuale delle pagine stampate. Fra i consigli apparentemente ovvi c'è ancora da ricordare di predisporre la stampante per quanto più scuro sia possibile e non usare cartucce di inchiostro o toner riciclate, riempite o giù di li (danno un pessimo effetto per le stampe normali, immaginatevi in questa applicazione).

Le stampanti laser, comunque, hanno il problema di fare più chiare le zone di toner più estese, credo che questo sia un problema intrinseco del processo elettrostatico di deposizione del toner; comunque siccome questo effetto in genere è visibile per piste più larghe di 2mm o per tutte le aree di massa, si può ovviare a questo problema (che renderebbe queste aree granulose dopo la corrosione) ridipingendo manualmente le aree troppo chiare. Per fare ciò occorre un pennarellino a punta abbastanza sottile e, ovviamente, coprente: io ne uso uno della Stabilo (Art. 843/46) a punta media che va bene anche per fare ritocchi direttamente sul fotoresist, essendo resistente anche al cloruro ferrico e ad altre soluzioni corrosive (ad esempio acqua ossigenata acidulata).

Riguardo alla procedura di stampa si dovrà fare attenzione al ``diritto-rovescio'': tutti i programmi permettono di fare l'immagine specchiata, questo è utile per far si che si possa mettere il master con il toner (o inchiostro) dalla parte del rame sensibilizzato; altrimenti se fra il toner e il fotoresist si frappone la carta c'è il rischio che la diffrazione sciupi un po' i bordi e renda anche più difficile accorgersi di quando lo sviluppo sia completato.

Preparazione basetta

  • Tagliare la basetta uno o due millimetri in più da ciascun lato perché li ci andrà comunque un eccesso di fotoresist e pertanto la mascheratura non potrebbe venir bene; alla fine il circuito verrà rifilato.
  • Limare i bordi in modo che vengano lisci e smussare gli angoli.
  • Pulire il rame chimicamente con prodotti di uso casalingo per la lucidatura dell'ottone [ad esempio con il Sidol] (se il circuito è doppia faccia fare attenzione che lo sporco del piano di lavoro andrà sul lato appena pulito).

    Questi prodotti si applicano bene con carta assorbente o simili (ottima la carta igienica); bisognerà usarne abbastanza ripartendo con carta nuova e nuovo prodotto finché non si vedranno sparire le macchie più scure (che in molti casi saranno dei veri e propri inizi di corrosione). Alla fine, con della carta pulita, bisognerà rimuovere il prodotto in eccesso, così facendo lo si luciderà.

  • Pulire con polvere detergente abrasiva (ad esempio Vim in polvere) e uno spazzolino duro (ad esempio quelli da unghie) bagnando poco il rame e sfregando con lo spazzolino la polvere quasi a secco prima e poi sempre con più acqua, magari sciacquando e usando nuova polvere fino ad ottenere una schiuma pulita.

    All'ultimo risciacquo l'acqua deve rimanere uniformemente unita al rame; ciò è garanzia di una ottima pulizia e sgrassatura. A questo punto il rame non deve essere più toccato, ne con le mani e nemmeno con i guanti (e sarebbe bene toccarlo poco anche nelle fasi precedenti).

  • Asciugare con un cencio velocemente prima che si formino le sgorature.
  • Se la temperatura ambiente è molto bassa o c'è molta umidità scaldare le basette per essere sicuri di aver espulso tutta l'umidità superficiale; riportare a temperatura ambiente prima di procedere.

Applicazione del Fotoresist

Spray

Si fa riferimento al fotoresist ``Positiv 20'' della Kontact Chemie.

Generalmente i tutti i fotoresist per queste applicazioni sono sensibili alla luce ultravioletta (intono ai 390nm di lunghezza d'onda), pertanto sarà sufficiente fare tutte le operazioni di questo paragrafo in condizioni di assenza di luce solare diretta e magari anche senza lampade fluorescenti, ma la precauzione di ``lavorare in luce attenuata'' o ``in penombra'' è in generale eccessiva, anzi spesso non facendo vedere con precisione cosa si stia facendo può causare errori proprio il troppo buio. Nella fase di essiccazione, siccome i tempi sono lunghi, coprire la basetta dalla luce è una precauzione senza altri fastidi che deve senz'altro essere presa.

  • Mettere le basette su un piano orizzontale coperto da un foglio di protezione facendo attenzione che quest'ultimo non si increspi: è importante che le basette restino quanto più orizzontale possibile (ottimi sono i cartoni da imballaggio).
  • Agitare molto lo spray e provare l'ugello su un bordo del foglio di protezione.
  • Il fotoresist va spruzzato tenendo la bomboletta a circa 20cm di distanza e inclinata a 45°. Si faranno al massimo 3-4 passate abbastanza più ampie della basetta stessa in modo da garantire l'uniformità.

    Se si vogliono sensibilizzare più basette insieme conviene disporle l'una accanto all'altra distanziate di un mm e considerarle come una unica basetta, è il miglior modo per stendere uno strato uniforme.

    A questo punto il fotoresist si presenta come una bruttissima verniciatura tutta maculata, tanto da pensare che sia venuto irrimediabilmente male; uno dei peggiori errori a questo punto è quello di insistere a darne nel tentativo di uniformarlo. Invece si dovranno attendere pochi minuti (dipende molto dalla temperatura ambiente) durante i quali il fotoresist si spanderà e formerà uno strato a spessore costante. Questa è l'unica fase in cui la polvere può essere nociva, ma i danni non sono così  tremendi come si dice, al più ci sarà bisogno di qualche ritocco dopo lo sviluppo (per il quale si può usare lo stesso pennarello indicato per ripassare i master).

  • L'essiccazione dovrà avvenire in due fasi: la prima a temperatura ambiente per un tempo compreso fra 20 minuti e 2-3 ore dipendentemente dalla temperatura stessa, dopo di che la superficie del fotoresist sarà già compatta ma non basta; conviene che anche questo primo periodo passi al buio.

    Poi si provvederà alla essicazione a 60 ÷ 70°C, ma non con un flusso di aria calda, perché la polvere così  ``sparata'' può ancora inglobarsi nel fotoresist ancora morbido;, ci vuole un forno (mi raccomando non quello di cucina!) o una piastra; bastano una decina di minuti. La piastra non va bene nel caso di circuiti a doppia faccia, in tal caso o si usa un forno oppure si fa tutto il processo in due tempi mascherando con del nastro adesivo l'altra faccia).

    Non si può essiccare direttamente ad alta temperatura perché il fotoresist si ``sbollerebbe'' tornando all'aspetto dei primi istanti di applicazione, ma questa volta in maniera definitiva.

Liquido a pennello

Vale la descrizione per quello spray, avendo l'accortezza di usare un pennello quanto più morbido possibile e di stendere uno strato di spessore quanto più costante possibile, il che non è una cosa facile perché nessun altra verniciatura richiede questa attenzione. Bisogna fare in modo che il fotoresist non secchi durante l'applicazione, quindi bisogna essere precisi, veloci e ovviamente uniformi.

Piastre presensibilizzate

Possono apparire la soluzione più semplice specialmente per chi sia alle prime armi e voglia eliminare qualche incognita su un procedimento che deve essere messo a punto in varie fasi. In effetti però ci sono degli svantaggi che vanno considerati.

Innanzitutto il costo di una basetta presensibilizzata è molto elevato, approssimativamente (ai prezzi di vendita al dettaglio) la vetronite (più propriamente detta FR4 o G10) ramata da un solo lato costa 7÷8 lire/cm2, quella presensibilizzata 25 lire/cm2, il fotoresist 1 lira/cm2, quindi le basette presensibilizzate costano almeno 3 volte di più non considerando il tempo necessario per l'applicazione del fotoresiste e il rischio che il lavoro vada rifatto. Per le basette a doppia faccia questa differenza è ancora maggiore.

Più importante da considerare è il fatto che non è facile trovare delle basette di qualità, cioè che fra un mandata e l'altra o addirittura fra un lato e l'altro non ci sia differenza di spessore nel fotoresist(e quindi tempi di esposizione e sviluppo necessari). Inoltre il fotoresist, che spesso viene dato a rullo, può presentare delle striature molto marcate che rendono i bordi delle piste leggermente frastagliati.

Poi bisogna considerare che i tempi di esposizione e sviluppo non saranno uguali a quelli ottenibili stendendo il fotoresist in proprio, pertanto una volta messo a punto il processo per le basette presensibilizzate occorrerà ricominciare da capo quando si voglia passare a una sensibilizzazione fatta in proprio.

In ultimo bisogna ricordare che le basette presensibilizzate esistono solo di FR4 e generalmente le si trovano solo di spessore 1.6mm, pertanto quando si voglia usare spessori diversi, oppure materiali diversi, teflon, o quello che sia, indispensabili per certe realizzazioni alle alte frequenze ...bisogna saper stendere il fotoresist.

Esposizione

Mettere i master a contatto con il master sotto un torchio fotografico1o comunque in modo che questi vengano pressati sul rame sensibilizzato; indicativamente i tempi di esposizione con un tubo di Wood da 35W a circa 5cm di distanza e un torchio fotografico con un vetro comune da 2mm possono essere di:

  • 1h 40m ÷ 2h con carta comune da 80 g/m2.
  • 10m con carta lucida da disegno
  • 2m 30s con acetati (lucidi da proiezione)

Il tubo di Wood non è la lampada con l'emissione spettrale più adatta alla sensibilità dei fotoresist, ma è anche una delle lampade più comuni e meno costose che si possano trovare; in ogni caso conviene rivolgersi a un rivenditore ben fornito di illuminotecnica e chiedergli espressamente una lampada che abbia il massimo di emissione alla lunghezza d'onda riportata sul fotoresist e valutare i prezzi. Altre lampade simili al tubo di Wood, di uso accettabile, sono quelle usate per attirare gli insetti negli insetticidi a scarica e quelle a raggi attinici per reazioni di polimerizzazione. Le lampade germicide (UVB) generalmente usate per scancellare le EPROM emettono invece a lunghezze d'onda troppo piccole, non sono mai riuscito ad ottenere risultati accettabili.

Per quanto riguarda l'uniformità dell'irraggiamento non mi sono ma trovato a dei problemi pur usando un tubo lineare (come una comune lampada fluorescente da 35W lineare) posto a 4 ÷ 5 cm dal torchio fotografico senza alcuno schermo o riflettore.

Sviluppo

  • Per il bagno di sviluppo preparare una soluzione di soda caustica (NaOH) di 5 ÷ 10 g/l con acqua comune; la concentrazione dipende dalla temperatura del bagno: fra 15 °C e 20 °C ci vogliono almeno 10 g/l, oltre i 30 °C non superare i 5 g/l. Non conviene lavorare a meno di 15 °C. La soluzione non si conserva a lungo e comunque deve essere riposta in un contenitore, e non lasciata nella bacinella in cui si sviluppa; infatti la soda caustica reagisce con l'anidride carbonica presente nell'aria formando un precipitato bianco che ne peggiora la resa. Conservare anche la soda caustica anidra in un contenitore a chiusura ermetica.
  • Immergere la basetta e muoverla lentamente sotto il pelo della soluzione; appena il fotoresist si inizia a sciogliere levarlo tutto e velocemente con un pennello e risciacquare con acqua comune.
  • Asciugare con un cencio; può darsi che su di esso rimangano delle tracce di fotoresist sviluppato, in tal caso sciacquare ancora e asciugare.
  • mettere a seccare, possibilmente in un forno, ad almeno 60 °C, il che dovrebbe anche indurire ulteriormente il fotoresist polimerizzato. Se non si dispone di un forno può andare bene una piastra se il circuito è singola faccia, altrimenti è meglio usare un getto di aria calda (phon da capelli, non sverniciatori o termorestrinitori).

Se i risultati dello sviluppo non sono soddisfacenti può darsi che ciò non sia da imputare esclusivamente al tempo di esposizione o alla concentrazione e temperatura del bagno di sviluppo, ma anche allo spessore del fotoresist e ad eventuali imperfezioni nella stesura di quest'ultimo; alcuni tipi di sporco sulla basetta possono compromettere il buon funzionamento di alcuni fotoresist, per questo è stata descritta una meticolosa operazione di pulizia.

Incisione

  • Preparare una soluzione di cloruro ferrico (FeCl3) ad almeno 25 ÷ 30 °C; un buon modo di scaldarlo è a bagnomaria con acqua calda di rubinetto ``bollente''.
  • La basetta andrebbe corrosa in un bagno tenuto in movimento ma questo è abbastanza difficile con il cloruro ferrico, quindi la soluzione migliore è quella di disporre la basetta sulla superficie del liquido e smuoverla di tanto in tanto (si potrà notare che benché non possa galleggiare la tensione superficiale è sufficiente a tenerla sul pelo del liquido).
  • Se il cloruro ferrico non è troppo usato iniziare a controllare lo stato dell'incisione dopo 10 ÷ 15m; l'incisione non dovrebbe durare più di 20 ÷ 25 m.
  • A fine incisione sciacquare in una soluzione di acqua comune acidulata (fino a pH 1 ÷ 2) con acido cloridrico (HCl).

Pulitura

Nonostante che su molti fotoresist ci sia scritto che non inibiscono la saldatura, consiglio di rimuovere il fotoresist perché non c'è nessun motivo di respirare i vapori del fotoresist durante il montaggio! In effetti il fotoresist farebbe da protezione per l'ossidazione del rame, ma non mi sembra un buon modo, semmai si può dare della lacca o stagnare il rame chimicamente, si veda oltre.

Comunque conviene lasciare il fotoresist fino a quando non si decide di passare alle operazioni successive, voglio dire che se si è fatto il circuito stampato domenica pomeriggio e non si pensa di ridedicarcisi prima del sabato successivo il fotoresist lo si leverà allora, è inutile lasciare il rame a ossidare.

Per levare il fotoresist in genere va bene l'acetone (o diluente alla nitro), è necessario insistere un po' perché il fotoresist si è polimerizzato ed è abbastanza duro. Dopo conviene fare un lavaggio con acqua e sapone da bucato per eliminare tutti i residui; asciugare immediatamente dopo.

Foratura

La foratura è l'ultima operazione da fare, anche dopo una eventuale stagnatura.

Per fare una buona foratura sarebbero necessari trapani in grado di raggiungere 15000 giri/m e oltre e punte al carburo di tunghsteno, ma in pratica un buon trapano a colonna che arrivi a 2500 ÷ 3000 giri/min può andare bene. Però è indispensabile un trapano a colonna e possibilmente non un trapano a pistola montato su una colonna, ma un vero trapano a colonna (o più precisamente un trapano sensitivo).

Ormai si trovano molti di questi trapani a basso prezzo provenienti dai mercati dell'est; molti, purtroppo non hanno mandrini in grado di stringere punte sotto i 2mm (!) e l'albero del mandrino vibra troppo per questi lavori di precisione. Altri invece riescono a fare fori anche di 0.4mm con precisione.

Il circuito va tenuto sopra un pezzo di legno (compensato, truciolato, ecc...) di nessun pregio ma liscio e con le due facce parallele in modo che possa appoggiarsi stabilmente al banco del trapano e il circuito stampato non vi traballi sopra; quest'ultimo dovrà essere tenuto e spostato a mano. È utile che il master sia stato fatto con le piazzole forate e di un diametro che non sia quello che effettivamente si vorrà ottenere ma uno che permetta una facile centratura della punta, 10mil può andare bene.

Un'altro mito da sfatare è quello della rottura delle punte elicoidali, secondo qualcuno ne sarebbe necessaria una ogni pochi fori! Se si rispettano le indicazioni che ho appena fornito le punte arriveranno tranquillamente a perdere l'affilatura, ma le rotture sono molto rare (più frequenti sono invece sono quando si facciano fori molto profondi e/o con pezzi mal fissati). Pertanto dotatevi di una serie di punte di diametro a partire da 0.5 ÷ 0.6mm fino a 1.5mm scalate di 0.1mm, un paio per diametro sono sufficienti. L'affilatura di queste punte è molto difficile a causa del piccolo diametro, ma con una mola a grana molto fine e magari con l'aiuto di una lente è possibile riportare le punte ad un grado di affilatura accettabile; l'angolo dei taglienti può essere senz'altro minore di quello per l'acciaio.

Altri processi accessori

Stagnatura chimica

Si trovano in commercio (anche se non dappertutto) delle soluzioni che permettono di rivestire il rame di uno strato molto piccolo di stagno-piombo per semplice immersione del circuito stampato. Occorre seguire la procedura indicata sul prodotto, non dovrebbero esserci difficoltà se non quella di dover portare, in genere, questa soluzione a 50 ÷ 60 °C.

Uno spessore di 0,5 ÷2 µm è sufficiente per una protezione che non subirà alcuna azione meccanica su di se (in pratica serve per non farci venire le ditate e per non farsi corrodere quei pochi circuiti che andranno all'esterno).

Questo rivestimento non è adatto nei circuiti a radiofrequenza perché lo stagno-piombo ha una resistività abbastanza più alta del rame.

Laccatura

Questa è veramente semplice: basta procurarsi una lacca spray e spruzzarla sopra il circuito già montato (si potrebbe fare anche prima di montarlo ma, al solito, non conviene respirare anche questi vapori liberati dall'alta temperatura di saldatura) avendo cura di proteggere cio che non deve essere laccato (connettori, led, contatti, zoccoli in cui non siano ancora stati inseriti gli integrati, ecc...).

Alcune saldature, come ad esempio quelle dei fili di connessione, possono comunque essere fatte a laccatura avvenuta.

Circuiti a doppia faccia e multistrato

Realizzare un circuito a doppia faccia presenta solo il problema di allineare le due maschere fra se, il che significa o usare delle spine che però non consentono poi l'uso del torchio fotografico a meno che non lo si modifichi opportunamente, oppure nell'unire i due master con il nastro adesivo in modo da far coincidere i disegni dei due lati. Per quest'ultima soluzione, siccome la basetta è di un certo spessore, bisognerà fissare non i master l'uno all'altro ma ognuno ad uno spessore uguale alla basetta (un altro pezzetto della stessa); poi si dovranno o unire i due master alla basetta oppure fare molta attenzione quando (se) si debba rigirare il torchio fotografico per esporre l'altro lato (meglio sarebbe avere un torchio fatto da due vetri e due lampade una sopra e una sotto).

Un'altra soluzione è quella di usare uno dei due master come maschera di foratura per fare tre o quattro fori sulla basetta prima ancora di dare il fotoresist e usare questi fori per centrare le due maschere che verranno poi fissate alla basetta stessa con del nastro adesivo in una zona in cui non si debba fotoincidere (anche il nastro adesivo benché trasparente può alterare la penetrazione dei raggi ultravioletti). Questo metodo può risultare un po' difficile se si utilizzano dei master poco trasparenti come la carta comune.

La realizzazione dei fori metallizzati (via) richiede una esperienza e soprattutto una attrezzatura non indifferenti, oltre all'uso di sostanze non particolarmente tossiche per l'operatore ma di notevole impatto ambientale: i ponticelli di filo di rame saldati sopra e sotto sono una ottima soluzione, tanto che anche alle alte frequenza non si notano differenze fra i due metodi. Personalmente non ho mai affrontato questa lavorazione ma ci sono radioamatori che la fanno correntemente con risultati notevoli, se proprio avete voglia di fare anche questo chiedetemi informazioni, stesso dicasi per i multistrato.

Conclusioni

I punti critici di questo processo sono: l'ottenimento di un master ben contrastato, la stesura uniforme del fotoresist e la pratica. Concentrandosi su queste necessità ogni radioamatore dovrebbe essere in grado di ottenere dei circuiti stampati di una certa qualità. In caso di dubbi o problemi o se non siete d'accordo su qualcosa, o ancora se avete delle soluzioni migliori sentitevi liberi di mettervi in contatto con me, sono molto interessato allo sacmbio delle esperienze.

Buon lavoro!      de IK5NAX Lapo 

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